Claudia Digiuro

L’ETERNO INDECISO

Ogni decisione comporta il sacrificio di qualcosa.

Nell’atto di decidere una persona è chiamata sempre a scegliere, che si tratti di acquistare  un capo d’abbigliamento o un altro, di frequentare un partner in modo esclusivo, di orientarsi verso un lavoro più gratificante o uno più remunerativo, di accostarsi ad una compagnia piuttosto che a un’altra; gli esempi sono infiniti..

Quello che è certo è che nella decisione è presente sempre una quota di rischio perché operare una scelta ci espone costantemente all’interrogativo ‘sarà la scelta giusta per me?’.

In alcune persone questo dubbio può diventare una vera e propria trappola che tiene in ostaggio il soggetto impossibilitato a prendere una direzione, scatenando difficoltà relazionali o blocchi a livello prestazionale.

Come abbiamo visto e come sappiamo, le situazioni che ci inducono a dover decidere sono molteplici, dalle più leggere a quelle che determinano importanti cambiamenti di vita. In ognuna ciò che fa la differenza non è la situazione in sé quanto la percezione che il soggetto ha di se stesso e delle proprie risorse.

Frequentemente coloro che sono vittime di un dubbio patologico evitano di decidere o delegano all’esterno. Dietro questa inibizione c’è la credenza che gli altri siano dotati del buon senso e della capacità di operare una scelta meglio di quanto non possano fare loro stessi.

Paradossalmente questo modo statico di porsi alla vita, venendo meno alle proprie responsabilità (perché nella scelta c’è sempre un’assunzione di responsabilità!), non mette al riparo il soggetto dalla frustrazione. Al contrario, autoalimenta un senso di impotenza e una distorsione dell’ambiente esterno. ‘Gli altri’ vengono percepiti come virtuosi e degni di successo. L’io è messo sotto torchio da una voce interna persecutoria che riconferma la convinzione di non potercela fare.

In questo circolo vizioso si attivano reazioni fisiologiche e psichiche disfunzionali che conducono sovente ad essere preda dell’angoscia e a sviluppare disturbi ansiosi, fobici, stati depressivi.

La clinica psicoanalitica in questi casi interviene nella ricostruzione dell’identità del paziente.

Si parte dai vissuti che hanno impedito la valorizzazione di sé e si ripercorrono a ritroso le relazioni disfunzionali implicate nel fallimento dei processi di narcisizzazione.

Tale passaggio è necessario per disindentificarsi dalle istanze persecutorie che trattengono il paziente e gli impediscono di muoversi. L’obiettivo è quello di potersi rivolgere uno sguardo benevolente, accettando i propri limiti da un lato, promuovendo le proprie risorse dall’altro.

Questo consente di raggiungere un nuovo equilibrio e poter pian piano aprirsi con coraggio ai ‘rischi’ che la vita ci propone.